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«Nostro padre ucciso dalla malasanità»: il duro sfogo di Daniela e Giuseppe Casale di Monte San Biagio

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Riceviamo e pubblichiamo, come richiesto dai lettori Daniela e Giuseppe Casale, la lettera di denuncia con la quale i due fratelli denunciano una brutta storia di malasanità che, a loro dire, avrebbe causato il decesso dell'anziano padre, prima di entrare in ospedale ancora in condizioni di salute discrete e idonee ad affrontare un intervento. 

 

Denunciamo l’inadeguatezza del personale medico e paramedico dei Reparti di Ortopedia e Rianimazione del Presidio Ospedaliero Sud - Formia Ospedale Dono Svizzero, in merito al ricovero di nostro padre Enrico Casale iniziato il 12.08.2020 e conclusosi tragicamente il 21.08.2020.

Nostro padre Enrico Casale, di 82 anni, è stato ricoverato nel Reparto di Ortopedia in seguito ad una caduta accidentale dal letto il 12.08.2020, che gli aveva provocato una frattura del collo del femore. Dializzato da 14 anni presso il centro dialisi di Monte San Biagio, nostro padre si presentava al momento del ricovero in condizioni adeguate a poter sostenere un intervento.

Pur essendo necessario intervenire in modo urgente in pazienti normali, e tanto più in pazienti fragili, i medici hanno ritardato l’intervento di 10 giorni, sostenendo di non poter operare a causa di mancanza di anestesisti in Sala Operatoria. Parlando con alcuni parenti di pazienti ricoverati nello stesso Reparto per fratture del femore, siamo venuti a conoscenza di altri pazienti con lo stesso problema che, sebbene entrati in Reparto successivamente, erano stati già operati il lunedì seguente.

Durante i 10 giorni di degenza di nostro padre è stato difficile riuscire ad avere informazioni sul suo stato di salute e sulla data dell’intervento, non essendo disponibile un orario di ricevimento dei medici. Ci è stato solo riferito che saremmo stati avvisati il giorno dell’intervento. Durante l’orario di visita (dalle 16:00 alle 17:00 per un solo parente) il personale paramedico, in relazione ad alcune semplici richieste, come quella di aiutare a sollevare la parte anteriore del letto per permettere al paziente di alzare la testa e poter bere con maggior facilità oppure dare una mano nel cambiare la giacca di un pigiama, rispondeva con un diniego oppure con la totale indifferenza. Lo stesso paziente confidava durante le nostre visite che il personale paramedico non mostrava alcuna sensibilità nei propri confronti o nei confronti degli altri degenti. Era puntualmente necessario da parte nostra dover ripulire il comodino del paziente dai rifiuti del pranzo che non venivano ritirati, cercando di portare un minimo di conforto a nostro padre che era impossibilitato a muoversi e a nutrirsi a causa della frattura. Nel frattempo al paziente veniva sospesa la somministrazione del farmaco anticoagulante di cui faceva uso, in attesa dell’intervento.

Domenica 16.08.2020 abbiamo ricevuto una chiamata dal Reparto, in cui ci veniva comunicato che l’intervento avrebbe avuto luogo la mattina del giorno successivo. Lunedì 17.08.2020, però, siamo venuti a sapere dal personale paramedico che l’intervento era stato annullato a causa di problemi legati al personale di Sala Operatoria. La stessa situazione si ripeteva martedì 18 agosto quando, dopo essere stato preparato per entrare in Sala Operatoria, al paziente veniva di nuovo annullato l’intervento. Le condizioni generali di nostro padre andavano progressivamente peggiorando, a causa anche del profondo sconforto in cui era precipitato dovuta all’attesa che non sembrava trovare soluzione.

La mattina del 19.08.2020 siamo riusciti ad avere un breve colloquio con un medico del reparto per capire se le ragioni di tali rinvii fossero dovuti ad eventuali complicazioni legate alla condizione di nostro padre. Il medico rispondeva che i rinvii dell’intervento non erano dovuti allo stato di salute del paziente ma soltanto a problemi di disponibilità di anestesisti e ci assicurava anche che l’intervento sarebbe stato svolto il giorno successivo, giovedì 20.08.2020, o al massimo il venerdì.

Il pomeriggio dello stesso giorno, durante la visita pomeridiana, nostro padre diceva di essere allo stremo delle forze. La mattina di giovedì 20.08.2020, analogamente di nuovo preparato per l’intervento, il paziente non veniva operato. Visitato dalla moglie nel pomeriggio, le diceva di non farcela più.

La mattina del 21.08.2020 alle ore 10:54 siamo stati chiamati da una persona che si qualificava come anestesista, che chiedeva come mai non ci fossero parenti in ospedale in quel momento, perché nostro padre era stato appena operato. Abbiamo risposto che non eravamo stati informati dell’intervento, contrariamente a quanto previsto da loro stessi. La persona al telefono aggiungeva che l’operazione era stata svolta ma che nostro padre era stato colpito da arresto cardiaco al termine dell’operazione per cui era stato portato in condizioni gravissime in Rianimazione. Arrivati in ospedale, nella sala d’attesa della Rianimazione, un medico ci ha comunicato che, in seguito ad una sequenza di arresti cardiaci, le condizioni erano estremamente critiche. Poco dopo, intorno alle 12:10, ci veniva comunicato il decesso.

Fino ad oggi non sappiamo se nostro padre avesse dato il consenso per l’operazione e non ci è stata consegnata alcuna lettera di dimissioni, contravvenendo così ad un obbligo di legge.

Il 25 agosto, dopo le esequie di nostro padre svoltesi domenica, abbiamo contattato la Direzione Medica dell’Ospedale, che alla nostra richiesta ha risposto che è prassi non consegnare la lettera di dimissioni in caso di decesso. Sempre in data odierna, abbiamo inoltrato richiesta della cartella clinica di nostro padre, che la legge prevede che venga consegnata entro 30 giorni dalla richiesta.

Giuseppe e Daniela Casale 

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